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L’alternativa ecologica alla plastica esiste
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L’hai visto sulla copertina del National Geographic, che ritrae l’iceberg-busta-di-plastica dell'artista Jorge Gamboa, e nella fotografia diventata virale del cavalluccio marino che si regge a un cotton fioc, immortalato da Justin Hofman in Indonesia.
L'inquinamento da plastica è un problema planetario, con un impatto sull'ecosistema, sulla salute e sull'economia che non è più possibile ignorare.
L’emergenza dell’inquinamento da plastica negli oceani è incarnata da quella conosciuta come Great Pacific Garbage Patch, la gigantesca isola di rifiuti che fluttua nel Pacifico tra le Hawaii e la California.
Reti da pesca, bottiglie, sacchetti ma anche giocattoli, abbandonati o scaricati nelle acque: le correnti che convogliano in quel punto gli oggetti di plastica sono stazionarie, favorendone l’accumulo e l’aggregazione e rendendo il danno permanente.
Non pensare, però, che sia un problema recente.
L’isola di plastica, infatti, è stata scoperta nel 1988 dai ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration, l’associazione statunitense che si occupa dello studio del clima. Da allora, il problema non ha fatto che aggravarsi: Scientific Report ha denunciato in un articolo che, a inizio 2018, misurava una superficie tre volte quella della Francia.
L'inchiesta è stata promossa da The Ocean Cleanup, la fondazione a cui ha dato vita nel 2013 l’allora diciottenne Boyan Slat e che sta sviluppando un sistema per ripulire il 50% degli oceani in cinque anni, sfruttando proprio le correnti marine.
Luglio è il mese della lotta allo spreco di plastica: lo è dal 2011, quando un gruppo di colleghi di Perth, in Australia, si è sfidato a consumare sempre meno plastica nella routine quotidiana, fuori e dentro l'ufficio.
Oggi il Plastic Free July è un movimento mondiale, oltre che un appuntamento annuale a cui aderiscono più di due milioni di persone. L’obiettivo è dimostrare quanto non sia solo possibile, ma anche estremamente facile, ridurre drasticamente il consumo e lo spreco di plastica con pochi cambiamenti consapevoli.
Parti dagli oggetti che hanno una vita brevissima, quasi istantanea. Per esempio, porta sempre con te una borsa per la spesa e una bottiglia riutilizzabile: il consumo energetico per la produzione, il trasporto e lo smaltimento (se avviene) della loro versione in plastica non è giustificato dai pochi minuti in cui la utilizzerai. Se mangi spesso fuori casa, ricordati un set di posate in bamboo, acciaio o silicone e chiedi al barista di non mettere cannucce nella tua bibita.
Sapevi che i cittadini degli USA consumano 500 milioni di cannucce ogni giorno?
Per quanto riguarda l’igiene personale, scegli uno spazzolino da denti di bamboo al posto di quello tradizionale in plastica e passa agli shampoo solidi. Se non puoi rinunciare al bagnoschiuma per le saponette, almeno acquista le confezioni formato famiglia. Puoi limitare l’impiego di assorbenti e tamponi passando alla coppetta mestruale – e questo farà bene anche al tuo budget mensile, fidati.
Il primo passo nella lotta allo spreco di plastica, quindi, è quello di ridurre i cosiddetti single use products, gli oggetti in plastica che usi una sola volta prima di buttarli e trasformarli in rifiuti. E il secondo?
Se il brand che della plastica ha fatto la propria essenza decide di presentare linee alternative ed ecologiche al Salone del Mobile 2018, il messaggio è più che chiaro.
Lo conferma il designer e Compasso d'Oro Donato D'Urbino, quando definisce il problema dell'inquinamento da plastica «una questione politica», che va gestita da più fronti in modo coerente e attivo.
Mentre The Ocean Cleanup sviluppa il proprio modello iper tecnologico e brand come Adidas e Corona promuovono eventi di pulizia delle spiagge, tu puoi cominciare oggi con una shopper di tela e un cucchiaino biodegradabile.
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