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Bontà di Artemide
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Sono passati giusto giusto vent’anni da quando Carlo Dal Bianco ha avuto l’occasione di reinventare l’uso del mosaico. Una virtuosa collaborazione con Bisazza, tutt’ora straordinaria e stimolante, è nata allora con la proposta di trasformare il mosaico in una sorta di carta da parati continua. Un’idea che ha aperto a tanti player del settore arredo un ventaglio di possibilità sorprendenti, per la quale ha ricevuto due importanti riconoscimenti all’Elle Deco International Design Awards. Da lì la fioritura di tanti altri prodotti come i pannelli d’arredo dedicati ad Antonio Canova, il progetto della stessa Fondazione Bisazza, della sede aziendale e via via fino ai quindici showroom sparsi nelle più belle città. Ma come sarà la dimora di un appassionato di cultura, leggerezza e felicità che ha con il colore un rapporto privilegiato?
La sua casa l’ha pensata sia per la vita famigliare che per custodire una collezione d’arte. Sono stati creati spazi da condividere e, allo stesso tempo, aree da vivere individualmente.
Ad ogni ambito della casa è assegnato un colore diverso: il rosso dell’ingresso trasmette energia ed accoglienza, il nero della biblioteca invita alla concentrazione e alla lettura, mentre il verde della camera padronale rimanda alla quiete e al riposo.
I colori intensi delle pareti sono stati selezionati per valorizzare i toni dei dipinti del Novecento veneto e della collezione di sculture, bassorilievi e oggetti di design vintage o contemporanei. Al tempo stesso, in contrapposizione ai colori intensi delle pareti e alla pavimentazione in wengé, viene prediletto l’utilizzo del colore bianco per le porte disegnate, le modanature e gli arredi.
Abbiamo colto l’occasione per scoprire alcuni aspetti del suo carattere, gli interessi collaterali, le strade sconosciute che l’hanno portato a raggiungere tantissimi obiettivi.
Architetto, quali sono le tre parole definiscono che il tuo lavoro?
Rigore, bellezza e impegno.
Descrivi una casa interessante.
Recentemente mi sono confrontato con una importante casa di impronta razionalista, un edificio a cui avrei tanto voluto metter mano. Ampi spazi, linee rigorosissime, materiali importanti, disposizioni simmetriche, infilate di porte, monumentalità tra le parti, doppie altezze con affacci interni, terrazze sui vari livelli, un’inaspettata piscina sul tetto, presenza di stucchi e decori anni trenta, ampie vetrate centinate. Una casa molto importante che conservava ancora intatta l’atmosfera della quotidianità, con la biblioteca, il grande camino in Verde Alpi, i guardaroba, i locali adiacenti per gli inservienti. Molto, molto interessante. Ma poi la committenza ha scelto il risparmio alla qualità. Peccato.
La cosa più importante che ti hanno insegnato sull’architettura.
La gerarchia architettonica tra le parti di un edificio, il rigore, la simmetria e la monumentalità.
La cosa più inutile che ti hanno insegnato sull’architettura.
Di non utilizzare la decorazione e il colore, un triste concetto di contemporaneità fine a se stesso.
Se non avessi fatto l’architetto, quale altro lavoro ti sarebbe piaciuto?
Il pittore e lo scultore, il libraio e l’editore, il mercante di dipinti e lo storico dell’arte.
Quale progetto veramente sfidante vorresti affrontare?
Il progetto dei miei sogni è un nuovo museo rivolto all’arte del Novecento.O un grande albergo.
Quali libri hai sul comodino?
A rotazione, solitamente, quasi tutte le sere appoggio sul comodino un libro diverso. Possiedo due biblioteche. La prima in studio, dove conservo libri di architettura, design, fotografia, decorazione, moda e interior design. Poi, quando salgo in casa, amo rilassarmi leggendo o sfogliando i libri nella seconda biblioteca che è a fianco della mia camera da letto. Testi di pittura, scultura e arte rivolta principalmente alla cultura del novecento, e in particolare alla cerchia veneta, della Biennale di Venezia e la scuola di Ca’ Pesaro e Burano.
Qual è il tuo sogno ad occhi aperti?
Il mio è stato quello di creare una collezione di dipinti del Novecento, per il futuro è quello di poter sviluppare la mia ricerca partendo da Gino Rossi e Arturo Martini, da Pio Semeghini e Virgilio Guidi. Pittori che indirettamente mi hanno stimolato e mi hanno accompagnato in una lettura diversa di Venezia e delle sue isole, città che amo profondamente. Come amo profondamente mia moglie Alessandra, i miei quattro figli e la mia casa.
Qual è il gioco di luci ed ombre a cui ti piace giocare?
Luci ed ombre: la domanda potrebbe prestarsi a varie interpretazioni. Nel lavoro mi stimola tantissimo, per esempio, la scultura di Michelangelo Buonarroti e l’opera di Antonio Canova. Il primo nervoso, teso, vibrante, contrastato sia nella statuaria che nell’architettura: fatta di piani contrapposti che creano luci ed ombre. Contemporaneamente amo fino alla commozione il Canova per la sua leggerezza, le superfici vellutate, morbide e nobili. Ecco, questo è anche il mio modo di vedere l’architettura e lo studio dei miei interni. Ricerco nelle facciate, ma anche nella disposizione degli spazi, la vibrazione della luce per contrasti, il chiaroscuro, che è il motore di ogni cosa. La luce, il sole, le ombre fanno vivere e vibrare lo spazio e tutte le superfici.
Il grande Canova invece mi rilassa, con lui entro nella contemplazione, riportandomi anche agli anni della mia giovinezza, in cui mia mamma Ester mi accompagnava in visita alla Gipsoteca di Possagno.
Ecco perché nei miei interni cerco l’emozione! Il colpo di scena nel senso più barocco del termine. Ricerco la luce, ma anche la penombra, o l’ombra. Utilizzo poche fonti luminose appoggiate a terra o sui mobili, ben calibrate. Amo mettere in evidenza di volta in volta un dipinto, una scultura, una porta o una serra di piante verdi.
Quale potere hanno i colori, che regole utilizzi per creare la tua palette?
Nei miei lavori li utilizzo sempre, tanto che immaginarmi un ambiente bianco spesso mi comunica quasi l’incompiutezza del progetto. Amo assolutamente il candore del bianco, quando è pensato, quando è una scelta, magari quando tutto è chiaro e luminoso. L’accostamento dei colori nasce da mille cose: parlando con la committenza, dal suo modo di essere, da un dipinto, dal paesaggio che circonda la casa che sto creando. I colori sono la pelle del progetto.
Cinque posti al mondo che più ti rappresentano.
In primis Venezia nei suoi luoghi più insoliti e nascosti, lontani dalle barbarie del turista medio. E poi il Metropolitan Museum a New York, soprattutto nelle sezioni affacciate su Central Park…
Il John Soane Museum a Londra dove perdersi in una casa straordinaria di un architetto collezionista pazzesco. Villa Necchi Campiglio a Milano del Portaluppi con una straordinaria collezione di dipinti divinamente collocata dalla compianta Claudia Gian Ferrari. La Libreria Galignani a Parigi, magari dopo aver visitato una parte del Grande Louvre, una sana iniezione di energia, felicità e commozione.
Un primo ricordo legato al disegno.
All’asilo, dalle suore Poverelle. Inginocchiato sul letto e appoggiato al davanzale disegnavo montagne con le croci e gli animali, usavo i pastelli a cera, un filo di luce traspariva dalle tende blu, mentre nella penombra i miei compagni facevano il riposino pomeridiano.
Se dovessi riassumere in una parola le tue origini quale sarebbe?
L’inadeguatezza.
Che rapporto hai con l’incertezza, il caso, l’imprevisto?
Distinguerei per bene le tre parole. L’incertezza è una parola che mi appartiene da sempre: per non riuscire a farcela, per la paura di sbagliare, per il timore di non essere all’altezza della situazione. E questo per formazione, per educazione. Il caso invece mi vede vincitore, mi sento baciato dalla fortuna, favorito dal fato, protetto dal mio angelo custode, condotto verso una via luminosa e fortunata dove il caso, appunto, mi apre sempre nuove sfide e nuove prospettive. Anche nell’imprevisto so leggere l’aspetto positivo, perché riconosco che nella situazione nuova so mettermi alla prova, trovando spesso la buona soluzione. Tutto questo nel lavoro e nella gestione delle incognite di un progetto o di un cantiere. Spesso la cosa mi stimola e mi diverte, forse per masochismo. Poi invece nella vita privata l’imprevisto mi può creare tanta ansia e tensione.
Quale pensiero per il pianeta è presente nella tua progettualità?
Sono un bravo cittadino, che con minuzia e rigore segue ogni dettame nel rispetto dell’ambiente: raccolta differenziata, attenzione agli sprechi, rispetto reale dell’ambiente in cui viviamo, amore per il verde e la natura. Ma nella mia progettualità dimentico spesso il giusto approccio, per esempio nell’ideazione di un oggetto di design. Non ci penso, non mi viene spontaneo. Conta sempre di più la forma, la bellezza, la carica del colore, più che la sostenibilità, il riciclo e l’autoproduzione. Mi devo sforzare, mi devo concentrare. Anzi la mia nuova sfida sarà quella di pensare a questo percorso mentale, molto giusto, doveroso ed attuale. Non lo si può più ignorare.
Ammiro chi si cimenta per queste strade. Il mio problema è che ogni volta osservo oggetti scarni, ridotti all’essenza e al linguaggio minimo, a volte semplicistici. Sto cercando di affrontare la questione, ricercando un giusto equilibrio tra la decorazione e la mia ricerca delle forme, con un processo mentale sostenibile.
Però poi mi consolo perché, a pensarci bene, ho anche progettato una casa geotermica a bassissimo impatto ambientale. Ma non l’ho mai tanto pubblicizzato…
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