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Michael Anastassiades, Marcantonio e Fabrice Berrux sono tre nomi che non hanno bisogno di presentazioni nel mondo del design. Hanno tre nazionalità diverse e tre stili eterogenei ma sono accomunati da tre imperativi condivisi: sfidare, emozionare, piacere. Ce lo hanno raccontato all’ultimo Salone del Mobile, lasciandoci con una certezza: per essere designer devi anche essere un po’ antropologo.
Michael Anastassiades racconta di aver sempre disegnato. Ma oltre a essere diventato un creativo di professione, ha anche iniziato a prendere e dare lezioni di yoga. E la disciplina è diventata per lui una vera e propria forma mentis che ne guida anche la produzione per Flos.
L’obiettivo è molto semplice: superare i propri limiti per raggiungere equilibrio e stabilità.
Jewels After Jewels After Jewels, un verso tratto da una canzone di Björk, è il titolo della sua installazione per Flos al Salone del Mobile 2018, che ha due caratteristiche molto evidenti: geometria e modularità. Crede siano due aspetti importanti per il design di oggi?
Penso che oggi si debba dare alle persone qualcosa di più di un oggetto statico. Qualcosa che preveda un certo grado di interazione. Noi designer siamo maniaci del controllo, vogliamo sempre vedere le cose in un modo specifico. Ma bisogna imparare a lasciarsi andare e considerare l’idea che il mondo non è monodirezionale, non può essere visto solo da una prospettiva.
Un gesto molto generoso.
Dare alle persone la possibilità di essere creative è un gesto molto bello. È interessante lasciare che siano ciò che vogliono essere. La serie Arrangements, protagonista dell’installazione Jewels After Jewels After Jewels, include cinque forme base che possono essere facilmente composte a piacere. È lo stesso principio delle String Lights, il progetto del 2013 che poteva essere reinterpretato a piacimento. È stato come mettere una matita in mano alle persone, permettere loro di esprimere liberamente se stesse, dare un’idea di sé agli altri, come fanno sui social network.
Molte persone si sono sentite intimidite, spaventate dal progetto String Lights, perché è difficile gestire la libertà. Spesso noi esseri umani non vogliamo essere liberi. Ma è un bel gesto permettere a qualcuno di esserlo.
IC Lights invece nasceva da un’idea diversa, un’ispirazione concreta, il giocoliere che teneva in equilibrio sulle sue braccia e le sue dita una serie di sfere di cristallo.
Sì, era un progetto completamente differente, ma dava era comunque declinato in una serie di versioni, da tavolo, da parete, a sospensione… E alla gente piaceva l’idea di avere l’imbarazzo della scelta.
Se Michael Anastassiades disegna quello che la sua mente immagina, Marcantonio lo crea, lo scolpisce. Gli piace pensare al proprio lavoro come a una continuazione di ciò che faceva quand’era piccolo e giocava con la plastilina. Un’idea di immediatezza e spontaneità che lo accomuna a Stefano Seletti, per il quale ha firmato prodotti ormai iconici, come le Monkey Lamps.
Cosa ci dicono le tue scelte, i tuoi progetti, dalle Monkey Lamp alle Luminaire, di te e della società?
La mia produzione non nasce dalla voglia di dire qualcosa ma dalla necessità di creare. Penso che sia un processo naturale, come una pianta che fiorisce o una roccia da cui nascono cristalli: allo stesso modo, dentro di me si formano idee. Io devo solo scegliere le migliori, quelle che più mi rimangono dentro, quelle più complete o che hanno qualcosa di speciale.
Lo vivo proprio come un innamoramento e poi è lo stesso amore e la stessa cura che metto nel realizzare o sviluppare queste idee. Ho la sensazione che le cose possano piacere alla società perché piacciono a me, che normalmente sono molto critico anche con me stesso.
Attraverso il mio lavoro ho capito che la mia identità non vuole essere definita ma essere lasciata libera di mutare, e questo è un grandissimo privilegio. Anzi probabilmente se c'è qualcosa che voglio comunicare è proprio questa libertà.
Più in generale, in che direzione sta andando il design e perché?
Esistono molte tipologie di design: tecnologico, minimale, hand-made, a basso impatto ambientale… Spesso le sue declinazioni vanno in direzioni opposte, quindi non è possibile avere una percezione comune.
Certamente si può dire che il design va verso il futuro, scoprendo nuovi linguaggi e nuove tecnologie. Ci aiuterà a vivere meglio e più comodamente, ma mi auguro che ci sia sempre spazio per l’emozione.
Quale pensi che sia o debba essere il ruolo del designer in una società come quella attuale, in cui ad esempio il legame(a te caro) tra uomo e natura è estremamente trascurato?
Ovviamente un creativo che riesce a comunicare a molte persone ha il compito di sensibilizzare chi lo segue ad una etica intelligente. Ma questo lo dovrebbe fare chiunque, l'attore, lo sportivo, il politico oltre all'artista. Il ruolo del designer è quello di disegnare prodotti che piacciano alla gente.
Io sento un forte richiamo alla natura e mi ci relaziono costantemente la osservo e ne traggo ispirazione. Mi piace creare oggetti che rappresentano animali e piante perché mi fanno stare meglio. Ed è vero che a volte ci identifichiamo come altra cosa rispetto alla natura, anche se ne siamo la massima espressione. Il mondo moderno è un po’ alienante, proprio da questo nasce la mia l'esigenza di vedere qualcosa che rappresenta il naturale, qualcosa che evochi la nostra appartenenza.
Fabrice Berrux è professore di design oltre che designer, quindi sempre a contatto coi giovani, il che gli ha permesso di mantenere uno spirito al tempo stesso giocoso e maturo. Nuovissima collaborazione internazionale di Bonaldo, progetta per sorprendersi. All’ultimo Salone del Mobile ha presentato, tra le altre novità, una libreria componibile il cui nome è rivelatore: Cabinet de Curiosité.
Come Michael Anastassiades riflette spesso sul significato polivalente della parola inglese pendant, che indica sia il gioiello pendente che la lampada a sospensione, Fabrice Berrux è stato ispirato dal termine francese bibliothèque che designa sia il luogo fisico in cui consultiamo i libri che il mobile in cui li riponiamo. Ecco perché - spiega - mi è venuta voglia di creare una libreria che abbia una dimensione architettonica.
Da dove nascono le sue creazioni?
Da un sentimento comune: tutti noi quando ci svegliamo al mattino desideriamo che nel corso della giornata qualcosa ci sorprenda. Abbiamo voglia di essere stupiti da storie o incontri, ma è difficile che succeda sempre. Allora il modo migliore è sorprendersi da soli: ed è esattamente per questo che ho scelto di fare il designer. Quindi provo ad avventurarmi sempre su terreni sconosciuti, come si farebbe in un viaggio.
Quindi anche questa libreria, che per lei è anche un ricordo dello studio ricco di souvenir di suo nonno, è un invito a essere curiosi, a sorprendersi?
Certo: il Cabinet de Curiosité è ovviamente adatto a raccogliere libri ma è anche uno spazio in cui mostrare dei souvenir, dei tesori, delle sculture, degli elementi del nostro passato, dei trionfi della modernità. È un po’ come quando riceviamo dei fiori: ci piace metterli in un vaso perché saremo sorpresi dal modo in cui si risistemeranno al suo interno, che sarà diverso dal bouquet.
Allo stesso modo, avremo il piacere di riempire questa biblioteca: che libro metto lì, che foto metto là? Questo dialogo con l’oggetto è una dimensione che mi interessa. amo tutti i rituali che intratteniamo con il nostro ambiente e in particolare con gli oggetti.
Una filosofia di vita perfettamente in linea con le icone del brand veneto, da Big Table a Eddy, ancora protagoniste all'ultimo Salone del Mobile.
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